Quando si parla di allenamento si pensa subito a quello fisico. Si pensa ad estenuanti sessioni di esercizi, ripetuti ogni giorno. Si pensa a maestri e istruttori, ad allenatori e preparatori fisici che seguono meticolosamente il lavoro degli atleti e compilano programmi. Si pensa a questo professionisti appena citati che misurano risultati e fanno previsioni.
Tutto ciò ormai è quantomeno banale.
Quando si parla di allenamento mentale la maggior parte delle persone e degli addetti ai lavori vedono un grande buco nero, o pensano di risolvere con poco impegno.
Ultimamente mi sono trovato a chiarire più volte la differenza tra uno psicologo dello sport e un mental coach. Ho dovuto compilare programmi di allenamento settimanali che sono stati rifiutati dicendo: “facciamo due volte al mese”. A questo punto spiegavo che l’impegno mentale era troppo scarso e la frequenza esigua. Mi si chiedeva allora di essere presente gratuitamente al telefono nei buchi tra gli allenamenti per seguire maestri e atleti. Cosa impossibile per chi lavora di questo e segue più società e atleti.
Con un programma così dilazionato nel tempo i risultati scarseggiano, non si crea la giusta disciplina e meticolosità.
Se si pretende che un atleta si alleni fisicamente ogni giorno, perché l’allenamento mentale – decisivo poi nella maggior parte delle competizioni – viene relegato spesso a mero accessorio?